Che cos’è un Borghese?

Il borghese è essenzialmente chi vuole farsi da sé. I tratti principali per riconoscerlo sono l’individualismo, lo spirito di indipendenza, l’anticonformismo, l’orgoglio e l’ambizione, la volontà di emergere, la tenacia, la voglia di competere, il senso critico, il gusto della vita. Sconfina nell’eccentrico, nell’avventuriero, o egualmente bene nel martire, eccezionalmente.

Il borghese non accetta le caste, ma neanche l’egualitarismo. Nel Settecento lo sentiamo dichiarare: «Gli uomini nascono eguali», ma il significato è soltanto che non conta nascere nobili o plebei. Conta quello che si fa della propria vita. Il borghese crede nella gerarchia, non nelle classi sociali: la sua gerarchia è individuale.

Non sente la solidarietà di classe, perché anzi è abituato alla concorrenza coi suoi pari. Sente poco la solidarietà in generale, perché pensa che se egli si fa da sé, senza aiuti, tutti debbano farsi da sé. Lottatore, nega tuttavia la “lotta di classe”.

Nella cattiva fortuna, il borghese morirebbe di fame pur di non chiedere l’elemosina. Perciò il mendicante non lo impietosisce oltre misura. È disposto a imputare a sé stesso il proprio eventuale fallimento, senza cercare scuse. Perciò il fallimento altrui non lo disturba più di tanto.

La morale borghese si fonda sulla responsabilità individuale, sulla colpa individuale e sulla punizione individuale. Egli passa talvolta per uomo senza cuore, egoista, spietato, ma non chiede agli altri più di quanto chieda a sé stesso. Ama competere lealmente, e che vinca il migliore.

Sente poco l’invidia perché riconosce a tutti il suo stesso obiettivo di eccellere. Ma disprezza chi è avanti senza merito, per privilegio, o chi dà via l’indipendenza per avere protezione. Volendo essere rispettato, rispetta gli altri. Non vuole ricevere senza dare, non vuole dare senza ricevere. Egli scambia. Il suo diritto è il contratto privato, la sua economia è il mercato. Dice: «Lasciatemi fare».

Si narra che, avendo l’imperatrice Teodora ceduto alla tentazione di finanziare un carico marittimo, l’imperatore Teofilo fece bruciare la nave perché l’operazione era indegna della sua sposa. Il borghese, invece, se è il caso diventa imperatore finanziando la marina mercantile, e inventa le assicurazioni contro il rischio che i mariti brucino le navi alle mogli.

Il denaro è per lui importante solo perché è un segno del successo, oltre che una garanzia di indipendenza: perciò il borghese lo cerca, l’accumula. Secondo le regole borghesi, chi ha, è. «Avido, avaro», dice la gente. Eppure il borghese si contenta spesso di pochi agi, ed è generoso nei doni, che testimoniano il suo successo.

A Firenze, il Duomo, Santa Croce, Santa Maria Novella furono costruite con le donazioni dei grandi borghesi locali. Oggi, la borghesia dona ai musei, alle università, agli ospedali; almeno finché non le si dice che il mecenatismo e la beneficenza sono cose riprovevoli. (Ma si vede raramente che un antiborghese rifiuti i milioni offertigli da un borghese).

Fu Marx a dire: «La borghesia ha avuto da svolgere nella storia un compito sommamente rivoluzionario». Il borghese crede che il mondo sia sempre da cambiare, da migliorare: non si contenta mai, non si rassegna. Ma sempre su scala individuale, senza vaneggiare di palingenesi sociali.

Il borghese è tutt’altro che un profeta, è uno sperimentatore, è un seguace di Popper anche se non lo ha mai letto. È liberale e liberista perché vuole la libertà di tentare, di provare (e, se è onesto, sulla sua pelle, non sulla pelle di altri che non vogliono).

Non capisce gli enti astratti come lo Stato. Per lui, lo Stato non esiste; esistono degli uomini in carne e ossa, e fallibili come tutti gli altri, i quali parlano e agiscono in nome e per conto dello Stato, che è una finzione giuridica. La giustizia “sociale” gli appare truffaldina, almeno nel vocabolario. L’ordine lo intende esclusivamente come un insieme di regole del gioco da rispettare, perché i concorrenti non barino. La legge deve tutelare la vita e la proprietà, e poco altro.

Infine, sento l’obiezione delle obiezioni. Nessuno può farsi veramente da sé, ciascuno di noi essendo beneficiario di servizi provenienti da tutti gli altri viventi e vissuti. È certo così. Se un grande e ignoto inventore non avesse inventato il salame nella notte dei tempi, non potrei oggi godermi la merenda sul prato il primo giorno di primavera.

A quel genio non dico nemmeno grazie. Il farsi da sé è sempre relativo. Ma il borghese chiede nulla alla società se non conta di restituire alla società, e di restituire con gli interessi. Egli vuole essere magari in credito verso la società, non in debito, al momento di fare i conti. Farsi da sé non è farsi per sé.

Andandosene da questo mondo (il più tardi possibile), il borghese ama lasciare ai posteri un regalo, così come egli nascendo ricevette un regalo dai predecessori. E il regalo che lascia lo ha accumulato in ogni istante della sua vita, cercando di fare della sua vita un capolavoro.

Non tutti possono inventare il salame, anche perché più di una volta non lo si inventa. Ma tutti possono inventare qualcosa o almeno provarci. Qualcosa che, se non è grande, potrebbe un giorno forse diventarlo, dopo secoli. Quando si chiese a Faraday a che servisse una sua scoperta appena fatta, la risposta memorabile fu: «A che serve un bambino?»

Tratto da Straborghese di Sergio Ricossa

Post preso dall’Istituto Liberale

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